Too Cool for Internet Explorer

lunedì 26 novembre 2007

Cornuti

Obiettivi condivisibili, mezzi discutibili, risultati antitetici. Questa successione logica non è infrequente in una produzione legislativa come la nostra, affollata di tali e tanti provvedimenti che è nata una commissione 'ad hoc' per studiarne lo sfoltimento. E quale arena è più adatta di una Finanziaria per duellare nuovamente tra razionalizzazione di costi e esigenze amministrative? Così, dopo essere passata da 92 articoli, numero già di suo esagerato per un provvedimento che ha preso la brutta abitudine di occuparsi di decine di argomenti differenti, anziché di ritoccare un corpo normativo stabile, la manovra 2008 ha già raggiunto la pantagruelica cifra di 154 articoli, moltiplicati evangelicamente da una tale sfilza di bis, ter e quater da costringere i manovali della Camera a rinumerare l'intero provvedimento, prima di discuterne gli esiti conclusivi. Tra i pochi immutati articoli ce n'è uno che parrebbe avere minimo impatto sulla struttura finanziaria dei nostri bilanci. A un'occhiata più attenta, però, ci si può avvedere della delicatezza della questione e dei modi (da elefante in cristalleria) utilizzati dal legislatore per disciplinare la faccenda. Mi riferisco al divieto assoluto di introdurre nei contratti di appalto di lavori, forniture e servizi la cosiddetta clausola arbitrale. Un dispositivo in base al quale, in caso di controversia, le parti non si affidano alla giustizia ordinaria bensì a un collegio di arbitri, appunto, per dirimere il conflitto con celerità. La norma fa piazza pulita di qualsiasi forma di arbitrato: quella libera, dove i componenti sono nominati a discrezione delle parti; quella amministrata, dove la Camera di commercio competente si premura di individuare il presidente del collegio. Pare che sponsor agguerritissimo della norma sia stato il ruspante ministro dei lavori pubblici, il quale ha conservato l'istinto guerrigliero che lo spinge a far terra bruciata attorno alle disposizioni che hanno anche solo un vago sentore di spreco di denaro pubblico. I precedenti, infatti, sono stati, in alcuni casi, davvero impressionanti per la dimensione raggiunta dai compensi ai membri del collegio. La commendevole iniziativa, tuttavia, nel suo furore se non cieco, quantomeno orbo, dimentica che conseguenza diretta di questo divieto indiscriminato è l'infelice isola dei tribunali italiani. Che saranno pure occupati da magistrati di limpida e specchiata fama, ma che non sono certo noti per essere fulmini di guerra nel chiudere cause. Il che preoccupa soprattutto coloro i quali pensano che il costo di una procedura non si misura solo con l'immediato esborso di denaro a favore di uno o più soggetti privati, ma anche con il tempo (in questo caso, mediamente lunghissimo) perso ad attendere che siano esperiti tutti i gradi consentiti di giudizio. Se la virtù sta davvero nel mezzo, perché non darle fiducia proponendo una soluzione che affidi a un soggetto terzo la nomina degli arbitri, assicurando che dall'urna non escano sempre gli stessi bussolotti e che dunque contemperi le esigenze di risparmio con quelle di rapidità nel sciogliere i nodi contrattuali.

0 Comments: