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mercoledì 10 ottobre 2007

Una scommessa perduta

Già è risultata meno popolare della febbre gialla, se poi, quando la si vuole applicare, ci si mette pure il Ministero a bloccare qualsiasi iniziativa, siamo davvero al colmo. Avrete certamente compreso che il tema di oggi è l’imposta di scopo, misterioso oggetto tributario che solo una manciata di enti ha scelto coraggiosamente di introdurre nel proprio ordinamento.
La temerarietà sta soprattutto nell’impegno a realizzare l’opera individuata in tempi ragionevoli, ben sapendo che, in caso contrario, i contribuenti faranno immediatamente la fila agli sportelli per chiedere la restituzione del surplus maldestramente inutilizzato. Ma i volontari che hanno deciso di sottoporsi al rischioso esperimento intendono andare fino in fondo.
A questo proposito, infatti, un ente si è rivolto al Ministero chiedendo lumi sull’applicabilità del tributo per finanziare l’acquisto di un’area da adibire a verde al fine di (testuale): “porre l’area medesima al servizio della città.” Espressione vaga, quest’ultima, che presupporrebbe un’ulteriore analisi delle reali intenzioni dell’amministrazione ma che, invece, è stata sufficiente ai funzionari del DPF per negare in modo deciso che l’imposta di scopo possa risultare utile a quel fine pubblico.
Il Ministero (che risponde con risoluzione n. 3/DPF/2007) parte dalla elencazione (tassativa, in verità) che la norma istitutiva fa delle possibili opere finanziabili e, dopo aver verificato che l’acquisizione di un’area non è compresa nella lista, andando per esclusione, elimina l’unica (secondo lui) altra possibile variante: la risistemazione per parchi e giardini.
Ammesso e non concesso che a questa conclusione si debba arrivare comunque, vorrei partire da un’altra considerazione. La definizione più neutra e oggettiva di ‘opera pubblica’ è quella ricavabile dalla dottrina prevalente che si può riassumere come segue: “opera eseguita da un ente pubblico, di carattere immobiliare, destinata al conseguimento di un pubblico interesse.
Quel ‘carattere immobiliare’ fa presumere un manufatto, una costruzione a cura dell’uomo. Ne sarebbe esclusa, allora, la semplice acquisizione di un’area. Ma se l’acquisizione (che, peraltro, ha per oggetto un’entità immobiliare) fosse propedeutica alla realizzazione di qualcos’altro? Ipotizziamo, ad esempio, che quel terreno debba essere adibito in un momento successivo a parco o giardino pubblico. A quel punto non si potrebbe più escludere che si tratta di un’opera pubblica, tanto più che la stessa legge considera finanziabile, come si è visto, la risistemazione di parchi e giardini.
La Cassa DD.PP. S.p.a., poi, nel caso di opere pubbliche, afferma che: “sono finanziabili tutte le spese che concorrono a determinare il costo dell'opera, purché le stesse risultino previste nel quadro economico progettuale (originario o aggiornato), che non siano esplicitamente escluse da norme e che non abbiano natura risarcitoria.”, comprendendo dunque l’onere di eventuali acquisizioni di aree. L’obiezione relativa alla tipologia della spesa sembrerebbe dunque superabile.
Resta tuttavia l’ostacolo più difficile, rappresentato da un elenco di fattispecie che pare non ammettere eccezioni. A meno che, con una forzatura che di certo non piacerebbe al Ministero ma che proviamo a sostenere, la situazione riportata dall’ente interpellante non sia fatta rientrare nell’ipotesi indicata alla lettera h) del comma 147, e cioè: “opere relative a nuovi spazi per eventi e attività culturali, (...).
Se si concede che per ‘spazio’ si possa intendere un luogo non necessariamente rappresentato da un edificio (per concerti o manifestazioni all’aperto, ad esempio), il caso potrebbe essere riaperto da un volonteroso detective.

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