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lunedì 27 agosto 2007

Sedie a sdraio

Il dibattito innescato dal Lenzuolo rosa sulla scarsa efficacia dei nuclei di valutazione a misurare la qualità delle prestazioni dirigenziali sta un po' scappando di mano a chi lo ha promosso. Sul numero di oggi, infatti, appare un intervento a cura del presidente della Fondazione PromoPA, Gaetano Scognamiglio, che apre un filone di indagine di tutt'altra natura, assumendo come cardine essenziale il ruolo del Consiglio dell'ente. Nelle precedenti puntate, chi era intervenuto aveva sottolineato le carenze più culturali che legislative di un sistema ancora bloccato dal vizio capitale delle pubbliche amministrazioni: la paura quasi ancestrale del cambiamento. E si sottolineava come, pur in presenza di un corpo di norme adeguate (un discorso interamente differente riguarda il sistema contabile), la pratica amministrativa non fa (non vuole fare) quello scatto decisivo che, ad esempio, sarebbe rappresentato da una programmazione dettagliata fatta di obiettivi chiari e oggettivamente quantificabili. Nell'attuale catena di comando, ciò dovrebbe verificarsi a livello di PEG, di competenza cioè giuntale, essendo affidato alle assemblee consiliari il compito di programmazione generale contenuto nei documenti di bilancio annuali e pluriennali, dal profilo interamente strategico. Gaetano Scognamiglio, dal suo canto, non si lascia sfuggire l'assist e va in rete con un argomento semplice semplice: laddove gli organi esecutivi hanno sostanzialmente fallito (perché i controlli interni sono come colabrodo che non trattengono alcuno spreco) possono con più incisività riuscire i Consigli, se solo gli si consentisse di operare compiutamente. La teoria dell'autore è che le assemblee consiliari sono di fatto esautorate dall'attività di controllo, perché, ad esempio (ma si tratta dell'esempio per definizione), il bilancio si approva senza che le minoranze possano incidere davvero sui suoi contenuti, ma soprattutto perché l'apparato burocratico interno non considera i consiglieri come interlocutori principali, fornendo loro una documentazione poco chiara o comunque incompleta. Quest'ultima accusa mi sembra davvero gratuita. Chi fa i salti mortali per consegnare all'intera assemblea nei tempi rigorosi richiesti dalla legge tutto il materiale necessario per discutere nella sessione di bilancio sa bene che nelle settimane successive (più che sufficienti a entrare nel merito dei contenuti) sono ben poche (quando ci sono) le richieste di delucidazione che giungono all'ufficio finanziario. Scognamiglio parla di "debolezza degli uffici di supporto, che spesso rischiano di essere una segreteria che smista semplicemente le pratiche nelle commissioni e redige gli ordini del giorno", ma quante volte i gruppi di minoranza presentano (per scarsa voglia o per supponenza, importa poco) emendamenti irricevibili senza neppure aver chiesto all'ufficio un parere sulla forma più adeguata di presentazione? Vien voglia qui di ribaltare il pregiudizio: le minoranze ritengono che gli uffici comunali siano al servizio esclusivo della maggioranza e ne stanno alla larga per timore di non ricevere risposte trasparenti. La consapevolezza che l'intero set di strumenti di programmazione, così come voluti dal legislatore, sia in gran parte inaccessibile al neofita non può giustificare la perenne indolenza di chi siede in consiglio (anche tra i banchi della maggioranza) a voler comprendere (e non parlo di approfondire) concetti elementari ma fondamentali come: equilibrio di parte corrente, indici di indebitamento, avanzo di amministrazione, residui attivi e passivi, impegni e accertamenti, ecc. Ne risulta, è ovvio, un'incapacità a controllare che non ha quasi nulla a che vedere con l'isolamento paventato nell'articolo. Quanto ai rimedi per ovviare allo squilibrio di cui si lamenta, ve n'è uno che pare messo lì apposta per ingenerar polemiche. Si richiede, infatti, "formazione specifica per tutti i funzionari che sono addetti a qualsiasi titolo a supportare le attività delle commissioni, dei gruppi e della presidenza." Parrebbe, cioè, che a capo degli uffici comunali (segreteria, ragioneria, tecnico...) vi sia una classe di dirigenti (se non di diritto, almeno di fatto) mediamente impreparata, alla quale servono corsi, non di aggiornamento, ma di formazione per coadiuvare gli amministratori. In quale mondo vive Scognamiglio? Un mondo dove è necessario trasformare "gli attuali uffici di segreteria in uffici di programmazione e controllo (?), riequilibrando con l'esecutivo l'utilizzo delle collaborazioni di supporto (??)". Un mondo dove la confusione regna sovrana, piuttosto. Perché la vera chiave per risolvere l'enigma sta, come è stato già scritto, nella chiarezza di idee di chi programma. Se un salto di qualità va fatto, non si ribalti il problema accusando l'apparato di scarsa collaborazione. Si abbia invece il coraggio di rimettersi in discussione e fornire un ricambio culturale prima ancora che generazionale a chi si candida ad amministrare.

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