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lunedì 30 aprile 2007

Forte e chiaro

Come dargli torto? "La cartella di pagamento deve contenere un riferimento chiaro all'atto presupposto e alla natura del credito iscritto a ruolo, non competendo al cittadino la ricostruzione dell'operato dell'ente impositore o del concessionario della riscossione, attraverso difficili, se non impossibili, operazioni interpretative di codici o serie numeriche. In applicazione di questo principio, la Ctr Puglia (sentenza 77/07/06) ha confermato la decisione di annullamento di una cartella di pagamento contenente l'errata indicazione del titolo in forza del quale era stata eseguita l'iscrizione a ruolo. Nel caso esaminato dai giudici pugliesi, a una contribuente veniva notificata una cartella di pagamento che riportava nella "causale" questa formula: «RT N.838812 94 SENT. CTP N.118/04/02». Il contribuente proponeva ricorso alla Commissione Provinciale, eccependo che tale formula non le consentiva di individuare il "titolo" dell'iscrizione a ruolo: se anche poteva immaginarsi che il titolo fosse costituito dalla sentenza di una Commissione tributaria, non vi era alcuna indicazione per risalire quale fosse la Commissione che aveva emesso la sentenza 118/04/02 indicata in causale. L'agenzia delle Entrate si difendeva opponendo la legittimità dell'iscrizione a ruolo «in base a quanto statuito dalla Sez. 4° di codesta Commissione, con sentenza n. n8/04/01, depositata il 4/04/01 e passata in giudicalo». Alla luce delle avverse difese, la contribuente faceva osservare che la sentenza indicata nella cartella di pagamento, recante il 118/04/02, era anche diversa da quella indicata dall'Ufficio, ovvero la 118/04/01.
La Ctp accoglieva il ricorso, ma l'Ufficio proponeva appello e, pur riconoscendo l'errore di trascrizione dell'ultima cifra della sentenza indicata nella cartella di pagamento, sosteneva che la contribuente non poteva non ricordare d'aver proposto ricorso innanzi alla Ctp di Bari e che il procedimento si era concluso con la sentenza 118/04/01 di rigetto del ricorso. La Ctr ha confermato, però, la decisione di primo grado. Secondo il Collegio, per stabilire se l'impugnata cartella di pagamento fosse legittima oppure no, occorreva verificare se la causale dell'iscrizione a ruolo, rappresentata esclusivamente dalla formula «RT N.838812 94 SENT. CTP N.118/04/02», potesse ritenersi motivazione sufficiente a dare conto dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa erariale. Dalla sequenza di lettere e numeri riportati nella cartella di pagamento, hanno concluso i giudici, «si poteva evincere con una certa facilità solo che veniva richiamata una sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, ancorché non vi fosse alcuna indicazione della sede della stessa». Peraltro, il numero di quella sentenza indicato nella cartella era risultato anche errato. Le indicazioni contenute nell'atto impugnato, dunque, non avevano consentito alla contribuente di esercitare in maniera esaustiva il proprio diritto di difesa, non essendo oggettivamente sufficienti per risalire al titolo dal quale era derivata l'iscrizione a ruolo.
" Il Sole-24 Ore, 30 aprile 2007

domenica 29 aprile 2007

Il diavolo veste Vaccari

Ci eravamo ripromessi di non tornare sull'argomento, ma talvolta una martellata su un chiodo già piantato lo assicura meglio nel muro. La nuova nota del DPF (a firma dell'immarcescibile Carlo Vaccari) ci riporta esattamente là dove eravamo rimasti. D'altronde non ci sono più dubbi sulla fermezza del Ministero nel sostenere la tesi secondo la quale i Comuni che non intendono (non intendevano, ormai) modificare l'aliquota dell'addizionale IRPEF, bloccata dall'esercizio 2003, non devono approvare alcuna deliberazione. Qui, a più riprese, si è sostenuto l'esatto contrario. Ma il Ministero sembra voler mettersi da solo i bastoni fra le ruote. Nel documento da poco pubblicato, infatti, a un comune che chiede lumi, prima ripete la nota tiritera. Ma nella seconda parte si scatena affermando in rapida sequenza:
1) che "l’automatica ripresa degli effetti delle deliberazioni sospese" determina l'assenza dell'obbligo "da parte del comune, che non intenda variare la misura dell’aliquota, di procedere ad una nuova espressione della propria determinazione già perfettamente formatasi con la precedente deliberazione", guarda caso approvata dalla Giunta comunale (la perfezione non essendo, appunto, di questo mondo);
2) che l'ente locale non ancora convinto della bontà interpretativa delle note a firma Vaccari non può far altro che approvare (per confermare l'aliquota) una deliberazione di Consiglio comunale, "unico organo a cui è attribuita la competenza in ordine alla disciplina dell’addizionale comunale in esame, ivi compresa la determinazione dell’aliquota."; ma se è davvero l'unico, perché si continua a farlo passare per 'utile idiota', impedendogli di esercitare la sua esclusiva competenza?
3) Infine che, avendo il Ministero poco tempo per verificare i propri database, è "auspicabile che i comuni che non intendano modificare l’aliquota deliberata per l’annualità precedente, effettuino una comunicazione a questo Ufficio, al fine di consentire un tempestivo aggiornamento delle informazioni reperibili sul sito informatico."
Per fortuna l'anno prossimo non dovremo più assistere a questo minuetto infinito. La testa ci gira già abbastanza.

sabato 28 aprile 2007

La gallina dalle uova d'oro

Leggere con attenzione. E tutte le volte che allo sportello qualche utente sputerà termini irriferibili al vostro indirizzo, ripensate a quando vi hanno detto della necessità di una formazione permanente e cominciate a piangere in silenzio.
"Quasi cinquanta milioni di euro. Per la precisione, 48 milioni 663mila 250 euro. È quanto spenderà il Comune, quest’anno, per i consulenti esterni e per i nuovi 49 dirigenti assunti dalla giunta Moratti. I direttori centrali sono saliti a 22 rispetto ai 13 dell’era Albertini, e è in arrivo un addetto stampa per ogni assessore. E l’op-posizione torna a accusare: troppi soldi spesi da quella politica che dovrebbe ridurre i suoi costi, troppa gente sistemata con un incarico pubblico tra Palazzo Marino e il sottobosco degli enti paracomunali. Già in novembre l’Unione aveva presentato esposti a Corte dei conti e magistratura. Ma, spiega Basilio Rizzo della lista Fo, «in Comune continuano ad assumere».
L
a Corte dei conti e la procura
. Dopo l’esposto in procura la guardia di finanza ha acquisito fascicoli e documenti. A che cosa porterà l’inchiesta nessuno può dirlo. Ma Basilio Rizzo, che ha presentato l’esposto alla magistratura, una cosa la dice: «L’ho fatto in difesa delle competenze interne dell’amministrazione, competenze che sono state mortificate imponendo dall’esterno persone il cui merito è quello di essere fedeli e controllabili. L’ho fatto perché non condivido questa strana idea dello spoil system per cui le persone vengono prese in base alla loro fedeltà». Che cosa denunciava l’Unione alla Corte dei conti? Che la decapitazione della vecchia dirigenza comunale voluta dal sindaco, e la sua sostituzione con nuovi dipendenti presi dall’esterno, abbia comportato un aggravio di costi. E che non sia avvenuta in modo né limpido né efficace. L’esposto contava 63 uomini assunti dall’esterno con contratto a tempo determinato fino alla fine della legislatura, in un Comune dove i dipendenti sono 17.700. Per una spesa di nove milioni di euro. Di queste nuove leve 49 persone sono state arruolate come dirigenti, un quarto di tutti quelli presenti in Comune, costo per le casse pubbliche 8.056.250 euro. L’accusa dell’Unione: troppi soldi, e spesi male. Contestati tra l’altro erano due politici ripescati come dirigenti comunali, cinque dirigenti senza neppure una laurea, un «numero spropositato di addetti a un ufficio stampa».
I super dirigenti. Qualche esempio dello stipendio dei nuovi dirigenti assunti dal sindaco. Uomini di fiducia di Letizia Moratti. Ma anche, spesso, uomini d’oro. Il più pagato ha già cambiato lavoro: l’ingegner Luca Concone costava al Comune 244.270 euro all’anno per dirigere l’«Area pianificazione e controlli», ma ha lasciato il Comune dopo otto mesi. Non è andato lontano: è passato alla Sea, spa comunale. Resta invece saldissimo al suo posto, ed è uno dei pochissimi sopravvissuti all’era-Albertini, l’ingegnere-capo del Comune Antonio Acerbo dirigente di tutti gli uffici tecnici e i lavori pubblici. Spesa per il Comune: 230mila euro. Altri 12 nuovi manager costano tra i 203mila e i 217mila euro lordi all’anno.
I super consulenti. I consulenti esterni, non assunti dal Comune ma semplicemente pagati a prestazione, sono sempre stati un capitolo in cui è difficile andare a scavare. Certo è che nel bilancio 2007, alla voce «investimenti», si prevede una spesa di 40 milioni e 607mila euro per incarichi professionali dati all’esterno. Erano 39 milioni e 714mila euro nel 2006. La parte del leone la fa l’Urbanistica con 15 milioni di euro e poi gli uffici tecnici per i lavori pubblici con 12 milioni e mezzo di euro, a seguire il settore biblioteche con 9 milioni e l’arredo urbano con un milione.
L’ufficio stampa. Il primo atto della giunta Moratti è stato creare un ufficio stampa centralizzato del Comune: via gli addetti stampa degli assessori, ecco un unico centro di comunicazione. Cresciuto a dosi da cavallo. A novembre risultavano assunte dieci persone nell’Ufficio stampa comunale, per una spesa di 900mila euro. Da allora il numero di giornalisti, fotografi e ghost writer è salito a 17. E adesso, a neppure un anno di distanza dall’insediamento, si cambia tutto. Pressata dai suoi assessori, che criticano i risultati di quella struttura elefantiaca, Letizia Moratti sta per smembrare il mega-ufficio stampa per tornare ad addetti stampa personali per i 16 assessori. A questo punto i 17 comunicatori già presenti potrebbero non bastare: diversi assessori rivendicano infatti il diritto di scegliersi da fuori la propria, personalissima, voce e tre ulteriori assunzioni sono già promesse. Una nuova moltiplicazione dei comunicatori?
La comunicazione.Letizia Moratti ha decisamente deciso di investire in marketing. Si prevede di spendere qualcosa come quattro milioni e 659mila euro, nel 2007, per la «comunicazione istituzionale». C’è da propagandare Milano anche, e soprattutto, in vista dell’Expo. E ci sono i supercomunicatori che dovrebbero «vendere» l’immagine (e la sostanza) di Palazzo Marino. Giusto un mese fa Letizia Moratti ha arruolato colui che dovrebbe sovrintendere al tutto: il guru si chiama Pier Donato Vercellone, è diventato il capo di tutta l’Area comunicazione, costerà alle casse comunali 174mila euro nel 2007 e 217.130 euro gli anni prossimi.
La squadra del sindaco. Letizia Moratti ha portato a Palazzo Marino la sua squadra di fiducia. A partire da Luciana, la segretaria personale che la segue da anni. Il suo consulente più fidato già da quando era ministro, oggi vera eminenza grigia di Palazzo Marino, è Paolo Glisenti: non assunto a tempo pieno ma collaboratore personale del sindaco per «implementare le attività istituzionali del Comune nei rapporti di natura politica-amministrativa», viene ricompensato con 900 euro (lordi) per ogni giorno in cui lavora almeno cinque ore, con un tetto massimo di 165mila euro all’anno. La voce del sindaco, il suo capo ufficio stampa, è invece Filippo De Bortoli che costa al Comune 132.452 euro all’anno. A capo di tutta la dirigenza comunale, nel ruolo di city manager, Letizia Moratti ha invece voluto Giampiero Borghini: già sindaco all’inizio degli Anni Novanta, assessore in Regione fino all’anno scorso, alle Comunali era l’uomo di punta di Moratti nella sua lista civica e oggi da direttore generale costa alle casse comunali 279.540 euro. Il suo braccio operativo è la vicedirettore generale Rita Amabile, che è tornata in Comune dopo una stagione in Regione e costa a Palazzo Marino 264.680 euro all’anno. Il capo di gabinetto del sindaco si chiama invece Alberto Bonetti Baroggi, lui solo eredità di Gabriele Albertini, e costa al Comune 140.490 euro.
Gli strateghi
. Novità assoluta per il Comune, Letizia Moratti ha creato a Palazzo Marino un «Comitato strategico». Dodici super-esperti che dovrebbero dare consigli alla giunta su come affrontare i problemi di Milano. Il comitato è chiamato a riunirsi «almeno sei volte in un anno». E ogni volta gli strateghi ricevono un gettone di presenza di 2.500 euro a riunione. Tre di loro hanno voluto rinunciare alla spesa per le casse pubbliche: don Virginio Colmegna, Sergio Dompè e Bruno Ermolli hanno fatto mettere a verbale la propria «partecipazione alle riunioni a titolo gratuito»."
La Repubblica, 24 aprile 2007

venerdì 27 aprile 2007

Quando tuona il cannone...

Pubblichiamo un articolatissimo intervento di Lega Autonomie sul prossimo decentramento delle funzioni catastali ai Comuni. Ci sembra interessante per la veemenza con la quale sono richieste garanzie per un passaggio che non sia solo di oneri ma soprattutto di opportunità conoscitive. "Per il decentramento delle funzioni dallo Stato agli Enti locali la norma sorgente è contenuta nella legge n. 59 del 15 marzo 1997 che attribuisce al Governo il riordino delle funzioni e dei compiti alle Regioni e agli Enti locali. In esecuzione della citata Legge è stato emanato il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 che ha elencato, le funzioni mantenute dallo Stato in materia di catasto (art. 65), esercitate anche attraverso l’istituzione dell’Organismo tecnico (art. 67), nonché quelle da trasferire agli Enti locali (art. 66). Nel 2006 con i DL 223/06 e 262/2006, ma in particolare con la L 296/2006 (Finanziaria 2007) si è posto fine alla pratica dei continui rinvii, confermando per tutto il territorio nazionale scadenze limite per l’effettiva possibilità per gli Enti locali di decidere sul come gestire la loro indiscutibile titolarità delle funzioni catastali. E ora la Cabina di Regia nazionale per il Catasto, più volte riunitasi sotto la Presidenza del Sottosegretario On. Alfiero Grandi, ha predisposto il DPCM applicativo della legislazione vigente, che, dal 1998, prevede l’esercizio delle funzioni catastali da parte dei Comuni. E’ previsto che i Comuni provvedano in quattro modi alla gestione delle funzioni catastali: il primo con una gestione diretta, il secondo attraverso l’Unione di Comuni o altre forme associative, il terzo da parte della Comunità Montana di appartenenza, il quarto affidandola all’ Agenzia del Territorio. Per l’esercizio delle funzioni sono possibili quattro livelli di Convenzione: uno per gli Enti locali che decidono per il livello base, un secondo per quello di maggiore complessità, un terzo per l’esercizio totale delle funzioni, il quarto è l’affidamento delle proprie funzioni all’Agenzia del Territorio.
Sono previste quattro scadenze: la prima è il 1° novembre 2007, la seconda il 1° novembre 2008, la terza, per gli Enti locali che deliberano per l’esercizio di nuove e più complesse funzioni o per l’adesione ad altre gestioni, è 1° novembre 2010, la quarta è la scadenza della prevista Convenzione decennale.
Gli Enti locali, per utilizzare la prima scadenza, quella del 1° novembre 2007, dovranno inviare specifica deliberazione non oltre 90 giorni dalla pubblicazione del DPCM sulla Gazzetta Ufficiale.
Tutto ciò vale anche per gli Enti locali che già oggi esercitano funzioni catastali.
E’ prevista l’assegnazione agli Enti locali di risorse finanziarie , correlate alle funzioni delle quali si è decisa l’assunzione.
E’ previsto, entro il 31 dicembre 2007, il DPCM per il trasferimento o il distacco di personale dell’Agenzia del Territorio agli Enti locali.
Restano ferme le scadenze per garantire, da parte dell’Agenzia del Territorio, l’accessibilità e l’interoperabilità applicativa delle banche dati.
E’ prevista l’attivazione di Tavoli Tecnici regionali tra Enti Locali ed Agenzia del Territorio, che là dove si sono già sperimentati hanno dato posivi risultati.
Il governo, inoltre, sempre sul versante della riforma del catasto, oltre all’avvio del processo di decentramento ha indicato la necessità di intervento su altri due aspetti strategici:
A) Revisione estimi. Il legislatore, considerata la necessità di attivare la riforma dei criteri di classificazione e di valorizzazione degli immobili ai fini fiscali, con un disegno di legge delega stabilirà le modalità di revisione degli estimi e tra l’altro, i fondamenti della riforma medesima affermando il principio della invarianza del gettito fiscale a base immobiliare-catastale, attestando, in tal modo, la logica della perequazione della norma.
B) Revisione classamenti e recupero elusione. Il decreto legge del 3 ottobre 2006 determina che l’Agenzia del territorio proceda direttamente alla revisione di talune categorie che, ad oggi, sono sottratte alla fiscalità locale: gli immobili sede di attività commerciali allocati nelle stazioni, negli aeroporti, gli immobili agricoli che hanno un utilizzo abitativo e commerciale, gli immobili classati nella categoria B ad uso pubblico. Negativa è la norma che sottrae il maggior gettito ICI ai Comuni, con un meccanismo che determina una riduzione dei trasferimenti statali pari ai preventivati maggiori incassi ICI. La norma va perciò modificata, cogliendo invece l’opportunità dell’intervento dei Comuni ai fini di una concertazione nei processi di recupero dell’arretrato catastale, in particolare sulla revisione dei classamenti anche attraverso il comma 336 legge 311/2004
Nel nuovo assetto istituzionale i Comuni hanno la necessità di disporre di strumenti più efficaci per la gestione delle proprie risorse, quali il territorio, il patrimonio immobiliare, le attività economiche, i servizi, le entrate tributarie.
La capacità di gestire le entrate tributarie è legata in modo essenziale alla costruzione di un nuovo modello di gestione del territorio:
- i cittadini devono poter disporre di tutte le informazioni ed i dati riferiti al territorio comunale, provinciale, regionale e nazionale, alla sua gestione ed al suo impatto fiscale presso un unico “centro locale” a livello comunale;
- il Comune deve poter rispondere alle esigenze dei cittadini e gestire, in piena autonomia, le funzioni di programmazione e di governo che oggi sono svolte in modo frammentario dall’amministrazione pubblica centrale e periferica.
Oltre agli aspetti legati ai tributi, la gestione “in tempo reale” del catasto – ottenibile solo con la gestione diretta da parte del Comune dell’esercizio completo delle funzioni catastali – comporta notevoli vantaggi anche in altri settori dell’Amministrazione comunale come i Lavori Pubblici, l’Edilizia e l’Urbanistica, la Gestione del proprio Patrimonio Immobiliare.
L’obiettivo dei Comuni, singoli o associati, diventa quello di costruire una propria banca dati catastale/tributaria costituita dalla anagrafe delle unita’ immobiliari interconnessa con il SIT con la quale governare la funzione catastale, anche nel caso optassero per l’affidamento all’Agenzia del Territorio.
Dalla gestione delle funzioni catastali derivano notevoli benefici per il Comune e per i suoi cittadini, quali:
1. disporre di un ulteriore strumento informativo che possa supportare una migliore gestione del territorio consentendo di integrare i processi tecnico amministrativi comunali con quelli catastali;
2. favorire il processo d’allineamento tra informazioni catastali e comunali;
3. perseguire e raggiungere obiettivi di equità e trasparenza nell’attribuzione e nella ripartizione del carico fiscale immobiliare;
4. rendere disponibile ai cittadini, presso un unico ufficio, un servizio più agevole, funzionale e conveniente, poiché fornito fisicamente nell’ambito del proprio Comune;
5. disporre di tutti gli elementi utili ad una sempre migliore programmazione e gestione del proprio territorio, in quanto soggetto abilitato a registrare e ad introdurre in atti le eventuali modifiche verificatesi nel tempo nella consistenza e nella destinazione/utilizzazione degli oggetti immobiliari
Si tratta, in sostanza, di valutare la possibilità di assumere un potere reale di governo del territorio, mettendo in sintonia il catasto, il servizio entrate, la gestione del PRG e in che modo farlo.
Ovvi sono i benefici del nuovo modello di “gestione del territorio” che in questa maniera si verrebbe a creare:
Il successo del rilancio del decentramento delle funzioni catastali si misurerà in parte consistente nella capacità di superare i limiti registrati nel quinquennio appena trascorso, che possono in particolare tradursi in alcuni requisiti fondamentali:
- modularità e flessibilità delle forme e dei tempi del decentramento;
- stretta connessione con i processi di miglioramento della qualità dei dati e dei servizi catastali;
- individuazione di bacini di utenza sufficientemente ampi, serviti da forme di associazione intercomunale adeguatamente incentivate;
- chiara separazione di strumenti e responsabilità tra gli interventi di recupero di errori e disallineamenti presenti negli archivi catastali e gli interventi di revisione dei criteri di classificazione e dei valori immobiliari;
- assicurazione di status professionali e percorsi di carriera accettabili ed incentivanti per il personale catastale coinvolto direttamente nel decentramento;
- forte impegno dell’Agenzia del territorio a supporto attivo del processo di decentramento, in termini di sollecita fornitura delle informazioni localmente e centralmente necessarie, di apertura alla collaborazione con i Comuni e le altre istanze locali coinvolte nel processo, di accelerazione dello sviluppo di un sistema informativo e telematico adatto alle differenziate esigenze territoriali.
Da parte dei Comuni sarà bene attrezzarsi per tempo, dando così soddisfazione concreta ai concetti di flessibilità e modularità.
Come sintetizzato all’inizio sono possibili per gli Enti locali decisioni non affrettate, considerato che le scelte debbono avvenire in modo convinto e ponderato, e che non si determinano in un ambito amministrativo-gerarchico, ma nel contesto politico e partecipativo locale.
Alla luce di questi aspetti si pone perciò l’opportunita’ e la necessita’ da parte dei Comuni di attivarsi per mettersi in condizioni di favorire il processo di decentramento attivando una progettualità che sia funzionale all’innovazione e al miglioramento gestionale dell’Ente locale a prescindere dall’aspetto della gestione catastale: costituire l’anagrafe delle unita’ immobiliare collegata alla revisione dei classamenti e attribuzione della numerazione civica interna.
Le unità immobiliari, i terreni agricoli e le aree edificabili, per loro intrinseca natura, hanno una caratteristica statica subendo, nell’arco dell’anno, variazioni percentuali minimali e possono essere indicati come “oggetti”. I “soggetti”, siano persone fisiche o giuridiche titolari di un diritto reale sull’immobile o che lo utilizzano, hanno una connotazione dinamica, mutano più rapidamente e determinano le diversificazioni rispetto all’oggetto.
La realizzazione di un sistema informatico-informativo che costituisca l’anagrafe immobiliare comunale integrata ed interconnessa con il sistema informativo territoriale, gli archivi della fiscalità locale e delle altre banche dati accessibili, consente di individuare le caratteristiche delle singole unità immobiliari, i soggetti proprietari e/o utilizzatori permettendo così di disporre delle più complete ed aggiornate informazioni.
Tale interconnessione deve essere dunque di tipo sincrono e dinamico, stante che ogni variazione (nuove edificazioni pubbliche e/o private, frazionamenti, compravendite immobiliari, ecc.), comporta delle modificazioni che, se non registrate, producono la distorsione e la lettura falsata della situazione immobiliare da parte del Comune che è deputato alla gestione ed al governo del territorio.
Una logica di questo tipo si concretizza nella costituzione di una banca dati – “anagrafe immobiliare comunale” - composta da un archivio “oggetti” collegato ad un archivio “soggetti”. Per la loro relazione occorre assegnare agli “oggetti” un identificativo univoco che è rappresentato dal codice ecografico, costituito dal codice via, dal numero civico interno ed esterno e dall’identificativo catastale. Il codice rappresenta la definizione sul territorio di contenitori pronti a ricevere informazioni dal catasto o dagli archivi del servizio tributi, ad omogeneizzarle, storicizzarle e distribuirle agli operatori interessati a seconda delle specifiche necessità.
Diviene rilevante la necessità di individuare, in modo analitico - descrittivo, tutti gli immobili esistenti sul territorio con la evidenza delle relative caratteristiche tecnico/costruttive, della consistenza e della destinazione d’uso, nonché della identificazione del titolare del diritto reale immobiliare e dell’utilizzatore od occupante.
La realizzazione di tale banca dati dell’anagrafe delle unità immobiliari può essere sviluppata in contemporanea con un intervento di revisione dei classamenti (comma 336; dpr 662) attuato però in una logica estensiva e generalizzata che si basi su un lavoro di verifica territoriale per identificare le unita’ tipo a livello catastale da concertarsi con Agenzia del Territorio.
L’intervento, attuabile anche in fasi graduali, avrebbe il vantaggio, come detto sopra, di produrre perequazione fiscale, recuperare risorse per il Comune e allineare le banche dati catastali in una logica propedeutica al processo di decentramento e di revisione estimi.
In questo processo, impegnativo ma di grande portata innovativa per il sistema delle Autonomie locali, Legautonomie è al fianco dei Comuni nel sostenere il pieno dispiegamento del processo di decentramento catastale attraverso l’esercizio diretto della funzione; nella valorizzazione delle esperienze attuative di gestione del catasto attivate a livello territoriale nazionale; nell’incentivazione dal basso della proposizione di nuovi modelli gestionali, con la costituzione di centri servizi territoriali aventi funzioni di governo delle entrate e del catasto da proporre alla “cabina di regia” in una logica di piena concertazione con l’Agenzia del Territorio a livello nazionale regionale e provinciale."

giovedì 26 aprile 2007

L'anima del commercio

Una volta tanto, lasciamo la voce al Ministero. Stavolta si occupa del contributo erariale a parziale rimborso dell'IVA pagata dai comuni sui servizi non commerciali, costo puro senza rivalsa. L'intervento è apparso sul numero di oggi di FiscoOggi.it. "L’articolo 6, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 - e il successivo regolamento attuativo (Dpr 8 gennaio 2001, n. 33) - ha previsto l’istituzione presso il ministero dell’Interno di un Fondo alimentato dalle entrate erariali derivanti dall’assoggettamento all’imposta sul valore aggiunto delle prestazioni di servizi non commerciali affidate dagli enti territoriali a soggetti esterni all’amministrazione.L’articolo 1, comma 711, della legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007), introducendo all’articolo 6, comma 3, della legge 488/1999, dopo le parole “servizi non commerciali” le parole “per i quali è previsto il pagamento di una tariffa da parte degli utenti”, ha precisato che il rimborso Iva spetta agli enti locali per i soli affidamenti effettuati a soggetti terzi relativi a servizi resi nei confronti di utenti che pagano una tariffa.E’ bene quindi precisare che il Fondo in questione ha come scopo principale quello di consentire all’ente locale il recupero dell’Iva indetraibile dovuta per l’affidamento a soggetti terzi di servizi che, se svolti direttamente dall’ente, avrebbero natura non commerciale e quindi sarebbero esclusi o esenti ai fini dell’Iva.Si reputa che dall’ambito applicativo restano esclusi i servizi dati in concessione e resi direttamente dal soggetto terzo con assunzione in proprio del relativo rischio economico.Per comprendere appieno l’opportunità della particolare forma di rimborso disposta dallo Stato, occorre avere riguardo alla peculiare applicazione dell’Iva alle attività poste in essere dagli enti locali, che non sono considerati soggetti passivi d’imposta quando svolgono un’attività istituzionale con il regime giuridico proprio dell’ente, divenendolo solo allorquando pongono in essere, pur mantenendo la loro veste di ente pubblico, rapporti abituali di natura commerciale con organizzazione di mezzi e risorse.Al riguardo, risulta utile evidenziare che i servizi aventi natura commerciale anche se resi da un ente pubblico, si ricavano dall’elenco tassativo indicato nell’articolo 4, comma 5, del Dpr n. 633/1972. Va da sé che svolge attività commerciale l’ente locale che fornisce in proprio, ad esempio, il servizio di erogazione dell’acqua, con conseguente possibilità di detrazione dell’Iva sostenuta per rivalsa sugli acquisti effettuati, ai sensi dell’articolo 19 del richiamato Dpr 633/1972. In tale fattispecie appare evidente che l’ente locale non può attingere al Fondo di cui all’articolo 6, comma 3, della legge 488/1999.Altresì va considerato che un servizio non commerciale direttamente reso dall’ente locale diventa commerciale laddove viene affidato a una società ovvero a un ente avente per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, sul presupposto che tali soggetti hanno una personalità giuridica diversa e autonoma rispetto a quella dell’ente e come tale costituiscono soggetti autonomi d’imposta per i quali si rendono applicabile l’articolo 4, comma 2, n. 1), del Dpr 633/1972, in base al quale, tra l’altro, si considerano effettuate, "in ogni caso,” nell’esercizio di imprese "le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice, dalle società per azioni ... ;".Per quanto concerne, invece, la possibilità, da parte dell’ente locale di esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta assolta per rivalsa all’atto dell’acquisizione del servizio regolarmente fatturato dal soggetto affidatario, si ritiene utile precisare che l’articolo 19, commi 1 e 2, del Dpr 633/1972, prevedono, tra l’altro, rispettivamente che "Per la determinazione dell'imposta dovuta a norma del primo comma dell'art. 17 o dell'eccedenza di cui al secondo comma dell'art. 30, è detraibile dall'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell'imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione...."; "Non è detraibile l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all'imposta, ....Inoltre, l’articolo 19-ter del Dpr 633/1972 pone la limitazione alla detrazione dell’Iva per gli enti locali per i soli acquisti fatti nell’esercizio di attività commerciale e a condizione che l’attività commerciale sia gestita con apposita contabilità separata.Pertanto, in base a dette disposizioni, l’ente locale non può portare in detrazione l’Iva sostenuta per rivalsa nei confronti del soggetto affidatario in quanto lo stesso ente deve considerarsi, alla stregua dei consumatori finali, un soggetto inciso dell’Iva e non invece un soggetto passivo, ai sensi dell’articolo 17 del Dpr 633/1972; invero, in virtù del contratto di affidamento stipulato con il soggetto terzo, l’ente locale non viene a esercitare alcuna attività imponibile, ma rappresenta un semplice committente (si veda la risoluzione n. 278/E del 2002).L’articolo 2, comma 3, del Dpr 33/2001 limita il campo di applicazione del beneficio ai contratti, stipulati a titolo oneroso, aventi a oggetto i servizi non commerciali, intendendosi per tali quelli che, assoggettabili all’imposta sul valore aggiunto, “ove prestati dagli enti locali sarebbero considerati esenti ovvero non rientrerebbero nel campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto”, escludendo esplicitamente “i servizi relativi al trasporto pubblico locale”.La norma contenuta nell’articolo 6 della legge 488/1999 trova applicazione anche con riferimento alle attività che la disciplina Iva considera esenti dall’imposta (dettagliatamente elencate nell’articolo 10 del Dpr 633/72) e che – per effetto di siffatta esenzione – precludono all’ente locale (o, comunque, al soggetto passivo) la detrazione dei costi sostenuti a monte per lo svolgimento del servizio.In questo caso, il trattamento fiscale ai fini dell’Iva è uguale sia che l’attività venga svolta direttamente dall’ente, sia che venga affidata in concessione a terzi: tuttavia, la ratio della disposizione di favore contenuta nell’articolo 6, comma 3, della legge 488/1999 si fonda sulla circostanza che, mentre l’ente locale resta inciso dall’imposta, il terzo privato può “recuperare” tale costo ai fini delle imposte sul reddito, facoltà preclusa all’ente locale, in virtù di quanto previsto dall’articolo 74 del nuovo Tuir (già articolo 88 del Dpr 917/1986) che esclude dall’imposta sul reddito gli enti pubblici territoriali.Per ottenere il rimborso della spesa sostenuta da Comuni, Province, Città metropolitane, Comunità montane, Comunità isolane, Unioni di comuni a titolo di imposta sul valore aggiunto pagata sui servizi non commerciali, esternalizzati, è stato istituito l’apposito Fondo previsto dall’articolo 6, comma 3, della legge 488/1999.Tuttavia, come detto, l’articolo 1, comma 711, della legge 296/2006 ne limita la portata, in quanto la norma chiarisce che il rimborso dell’Iva sulle attività affidate dall’ente locale in outsourcing può essere richiesto solo per quei servizi per i quali è previsto il pagamento di una tariffa a carico degli utenti.Il riferimento è sia a quei servizi di natura obbligatoria, volti al soddisfacimento di bisogni collettivi pubblici indivisibili e connessi alle esigenze collettive tassativamente indicate dalla legge (ordine pubblico, sanità, istruzione, viabilità, eccetera), sia a quei servizi di natura facoltativa, che configurano, in genere, l’esercizio del potere discrezionale dell’ente, e che abbiano natura non commerciale e per i quali gli utenti pagano una tariffa, affidati a soggetti terzi.Il presupposto è pertanto che ci sia l’affidamento di un servizio non commerciale da parte dell’ente locale, un soggetto terzo che svolge la prestazione e il pagamento di un corrispettivo sotto forma di tariffa da parte dell’utente.Rientrano, tra l’altro, in tale formulazione tutti quei servizi pubblici a domanda individuale di cui al decreto ministeriale 31 dicembre 1983, tra cui, a titolo esemplificativo, si ricordano la gestione delle case di riposo e di ricovero, la gestione degli alloggi e dei centri di prima accoglienza, la gestione degli asili nido, la gestione di convitti e colonie, le prestazioni educative e didattiche, i servizi di pompe funebri e cimiteriali, la gestione dei parcheggi fuori campo Iva e i servizi relativi a teatri, musei, pinacoteche, gallerie, mostre e spettacoli. In base alla nuova formulazione della norma, invece, non rientrano sicuramente i servizi di illuminazione pubblica, i servizi di gestione dei semafori, i servizi di global service e l’outsourcing dei servizi informatici e di gestione dei beni."

mercoledì 25 aprile 2007

Compatti alla meta

La rivoluzione informatica estende i suoi tentacoli fin dentro i corridoi del Ministero dell'Interno. Pensate, da quest'anno il file contenente la versione telematica del Certificato al bilancio di previsione (scadenza 30 giugno) può essere trasmesso anche su CD! Un bel passo avanti, dopo lustri passati a copiare su floppy. Peccato che le dimensione del file siano così ridotte che renderanno impossibile il passaggio alla versione in DVD.... Non si sa mai, però. E se prossimamente volessero il filmato con l'intera seduta del Consiglio comunale?

martedì 24 aprile 2007

Quiz show

Approfittando del ponte primaverile, in prossimità della scadenza del 30 aprile, ricapitoliamo le risposte ai quesiti sinora apparsi nell'apposita sezione del sito della Funzione pubblica relativi ai dati delle società partecipate. Per ora, non sono molti. Peraltro rispondono ad alcune esigenze molto pratiche, tenendo conto (ve ne sarete accorti) dell'estrema genericità dell'intestazione dei campi.
D.
Quando si fa riferimento all’onere complessivo a qualsiasi titolo gravante “per l’anno” sul bilancio dell’amministrazione occorre riferirsi al bilancio di previsione 2007 o al consuntivo 2006?
R.
Occorre riferirsi agli stanziamenti di competenza che gravano sul bilancio di previsione 2007.
D.
Vanno mescolate indistintamente spese correnti e spese di investimento?
R.
La cifra da inserire deve essere comprensiva di tutte le spese.
D.
Debbono essere considerate le entrate derivanti dai rapporti con le Società (canoni di concessione, etc.)
R.
No, non debbono essere considerate.
D.
Esiste una circolare esplicativa con un modello unificato di comunicazione dei dati?
R.
No, non esiste una circolare esplicativa, occorre connettersi al sito www.consoc.it inserendo i dati nei relativi campi predisposti.
D.
Per “misura della partecipazione” si intende la quota che l’amministrazione ha eventualmente versato all’atto della costituzione del Consorzio, Società, etc.?
R.
Si se invariata, in caso contrario, va inserita la quota attualmente partecipata.
D.
Quando si fa riferimento al trattamento economico spettante ai rappresentanti dell’Amministrazione nei Consorzi, Società, etc. si intende a carico dei Consorzi?
R.
Si.
D.
Per “…trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante…” devono intendersi solo i compensi connessi alla carica societaria?
R.
Si.
D.
Il trattamento economico complessivo spettante a ciascun consigliere è da intendersi lordo?
R.
Si.
D.
Per trattamento economico complessivo si intende comprensivo delle eventuali ulteriori attribuzioni? (Per es. polizze assicurative)?
R.
Si.
D.
Quando si parla di trattamento economico “spettante” si intende il compenso che si desume dai verbali dell’Assemblea e del Consiglio di Amministrazione?
R.
Si
D.
Le Università, le Scuole, le Aziende Sanitarie Locali sono tenute a rispettare l’adempimento?
R.
Si.
D.
Quanto disposto dal comma 587 deve intendersi riferito esclusivamente ai Consorzi e alle Società partecipate, come da dato letterale, o vanno incluse persone giuridiche quali le Fondazioni costituite da un Comune ai sensi del codice civile?
R.
Deve intendersi riferito esclusivamente ai Consorzi e alle Società partecipate come da dato letterale.
D.
Nel Comune di… tutte le partecipazioni societarie sono detenute da una Holding, SpA interamente controllata dal Comune stesso. Nell’elenco delle “Società a totale o parziale partecipazione da parte delle amministrazioni” basta fare menzione alla sola holding, società controllata direttamente dal Comune oppure occorre inserire tutte le società controllate indirettamente, per il tramite della holding, dal Comune stesso?
R.
Basta inserire i dati relativi alla sola holding.
D.
Per misure della partecipazione si intende la percentuale di capitale sociale sottoscritto?
R.
Si.
D.
Relativamente al numero di rappresentanti e al relativo trattamento economico occorre trasmettere i dati di tutti i componenti del Consorzio o della Società anche non appartenenti all’amministrazione dichiarante?
R.
No, vanno trasmessi i dati relativi ai soli rappresentanti dell’amministrazione dichiarante.
D.
Relativamente al trattamento economico complessivo spettante ai rappresentanti dell’ente, devono essere indicati gli importi CUD 2006 o va indicato l’importo del gettone di presenza/indennità deliberato dagli enti?
R.
Se il trattamento è a gettone si può inserire indicativamente il CUD 2006 a patto che il rappresentante percepisca il trattamento a gettone nel medesimo incarico anche per l’anno in corso.
D.
E’ necessario indicare i nominativi dei consiglieri o solamente le cariche ricoperte?
R.
L’applicazione richiede che vengano indicati i nominativi ed il codice fiscale dei consiglieri fermo restando il rispetto, da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica, della normativa in vigore relativa al trattamento dei dati personali.
D.
I dati regionali possono essere inviati in modo decentrato?
R.
No, ogni Regione raccoglie e inserisce i dati relativi alla propria partecipazione in Consorzi e Società.
D.
Il Comune di… ha già inviato i propri dati in formato cartaceo a codesto Dipartimento. Tale modalità di trasmissione è sufficiente ai fini dell’adempimento?
R.
Il Dipartimento non prenderà in considerazione i dati pervenuti in formato cartaceo.

lunedì 23 aprile 2007

A tutto campo

Una selezione delle più recenti pronunce della magistratura contabile conferma la tendenza (che andrà via via accentuandosi) a coprire l'intero specchio dell'attività amministrativa degli enti, proponendosi con autorevolezza e rigore come unica istituzione in grado di effettuare controlli sistematici sulla gestione economico-finanziaria (e non solo). A chi spetta versare la tassa per l'iscrizione a un ordine professionale di un dipendente comunale a tempo indeterminato. Con la nota protocollo n. 10223 del 23 ottobre 2006 il Segretario comunale del comune di XXX ha chiesto un parere in relazione ad una fattispecie attinente all’assunzione a carico del Comune della tassa annuale di iscrizione di un dipendente a tempo indeterminato all’albo professionale. (...) 5. Si deve rilevare che i contratti collettivi del comparto regioni e autonomie locali si limitano a prevedere l’indennità di posizione e di risultato per il personale che svolge attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlata all’iscrizione ad albi professionali, mentre nulla precisano in relazione all’argomento in discussione. 6. Nel merito, occorre considerare preliminarmente se l’iscrizione a un albo professionale costituisca requisito per lo svolgimento dell’attività per il dipendente. Così non è più nella materia dei lavori pubblici, in quanto la disciplina di cui all’articolo 17 della legge 109 del 1994 è stata modificata dalla legge n. 415 del 1998 nel senso che non è richiesta l’iscrizione all’albo professionale per i dipendenti pubblici che firmino i progetti, ma è sufficiente il possesso dell’abilitazione professionale; in questo caso l’iscrizione costituisce una scelta del dipendente e pertanto il relativo pagamento è sicuramente a suo carico. 7. Una diversa ipotesi si ha qualora il dipendente possa essere autorizzato a svolgere il lavoro part-time. L’eventualità di usufruire dell’iscrizione all’albo per svolgere attività libero professionale, e quindi a favore di soggetti diversi dall’ente pubblico datore di lavoro, consente di affermare che il relativo costo non possa gravare su quest’ultimo. 8. Più complessa è la fattispecie di un dipendente obbligatoriamente iscritto a un albo esclusivo del pubblico impiego, quale ad esempio l’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati. A tale ipotesi ha fornito una soluzione la Corte d’appello di Torino, nella sentenza n. 338/03, peraltro relativa a un dipendente di un ente statale, nella quale si afferma, in mancanza di una norma che disciplini la materia, e facendo ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, che le spese sostenute dal dipendente nell’esclusivo interesse del proprio datore di lavoro devono essere sopportate dal datore. 9. La ricostruzione sopra riportata non appare condivisibile, in quanto per alcune figure professionali l’iscrizione a un albo è un requisito imprescindibile, in mancanza del quale non è consentito l’esercizio dell’attività. Tale iscrizione costituisce uno dei presupposti richiesti per l’assunzione e deve perdurare per tutta la durata del lavoro alle dipendenze del comune. Si ritiene, pertanto, che debba essere cura del soggetto, assunto per ricoprire all'interno dell’ente un ruolo che richiede la suddetta iscrizione, farsi carico degli adempimenti necessari per assicurare nel tempo la sussistenza del requisito che ha costituito condicio sine qua non della sua assunzione, tra i quali rientra sicuramente il pagamento della tassa annuale. 10. In tal senso è l’articolo 47 della legge regionale sarda n. 31 del 13 novembre 1998, relativo all’esercizio delle attività professionali, che dispone al 3° comma che “per l’accesso ai posti in pianta organica il cui compito principale o esclusivo è l’esercizio di attività professionali sono necessari l’iscrizione all’albo e l’esercizio effettivo dell’attività professionale per almeno tre anni”; e che al comma successivo prevede che “la cancellazione dall’albo comporta la risoluzione del rapporto d’impiego”. Tali norme consentono agevolmente di ritenere che debba essere a cura del dipendente regionale anche il pagamento della tassa annuale di iscrizione, in quanto elemento necessario per il perdurare dell’iscrizione stessa. 11. Ad ulteriore sostegno di quanto sopra affermato vi è la considerazione che tra i principi generali a cui fare riferimento vi sono certamente quelli contenuti nel decreto legislativo n. 165 del 2001, che all’art. 1 dispone che “si deve contenere la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta , entro i vincoli di finanza pubblica”, e all’art. 2 che “l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e, alle condizioni previste, mediante contratti individuali”. La necessità di una previsione espressa si ritrova anche nell’art. 12 della legge 241 del 1990, secondo il quale “la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ad alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi. 12. Si può pertanto ritenere esistente nell’ordinamento un principio generale che vieta di porre a carico degli enti pubblici oneri non previsti e che possono contribuire ad aggravare la situazione finanziaria degli stessi enti. Tra tali oneri deve essere compresa la tassa di iscrizione a un albo professionale. (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la regione Sardegna, parere n.1/2007) Enti fuori dal patto di stabilità interno per il 2006: si alle convenzioni, no alle co.co.co. "FATTO. Con la nota in epigrafe il Sindaco del Comune di XXX chiede di conoscere se, ad avviso della Sezione, l’ente che, nell’esercizio 2006 non ha rispettato né il patto di stabilità interno né le riduzioni di spesa previste in materia di personale dall’art. 1 comma 198 della L. n. 266 del 23/12/2005, possa avvalersi dell’istituto della convenzione con altri comuni ai sensi dell’art. 30 del Dlgs. 267/2000 e se l’ente possa, inoltre, avvalersi di incarichi di collaborazione coordinata e continuativa trattandosi di prestazioni che, secondo la Circolare della Funzione Pubblica n. 5/2006, non parrebbero computabili tra le spese del personale. Considerato in DIRITTO. (...) La Sezione evidenzia che le convenzioni disciplinate dall’art. 30 TUEL costituiscono forme associative tra gli enti locali, espressione di “un’amministrazione per consenso”, avente la finalità di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi. Naturalmente, secondo il dettato del citato art. 30 TUEL, le convenzioni tra enti locali devono stabilire i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie. Inoltre, le convenzioni possono prevedere anche la costituzione di uffici comuni che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo di enti partecipanti all’accordo, o la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di essi che opera per conto dei deleganti. La Sezione non ravvisa ostacoli alla eventuale stipula di convenzioni tra l’ente richiedente il parere ed altri enti locali purché tali accordi avvengano nel rispetto della su riportata normativa e siano diretti a garantire una razionalizzazione dei servizi degli enti partecipanti volta al conseguimento di una maggiore efficienza. Inoltre, per gli enti locali non rispettosi del patto di stabilità interno non sussistono divieti legislativi alla realizzazione di forme associative con altri enti. Il secondo quesito formulato dal Sindaco è relativo alla possibilità per gli enti non rispettosi del patto di stabilità interno nell’esercizio 2006 di procedere nel corso del 2007 al conferimento di incarichi di collaborazione coordinata e continuativa. Il Sindaco richiedente sostiene che dalla Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n 5 del 21/12/2006 emergerebbe che le spese per collaborazioni coordinate e continuative non sono computabili tra le spese del personale. Invero la Circolare n. 5/2006 evidenzia che il contratto di collaborazione coordinata e continuativa è uno strumento straordinario e precisa che “sono da considerarsi incarichi di collaborazione tutte quelle prestazioni che richiedono competenze altamente qualificate da svolgere in maniera autonoma , sia quelle di natura occasionale che coordinata e continuativa” e che per la legittimità dell’affidamento di tali incarichi occorre far riferimento al disposto dell’art. 7 del D.Lgs. n. 165 del 30/03/2001 come modificato dal D. L. n. 223 del 04/07/2006 (Decreto Bersani) convertito nella L. n. 248 del 04/08/2006. Proprio la lettura del nuovo testo del citato art. 7, manifesta, ad avviso della Sezione, l’orientamento legislativo chiaramente orientato al contenimento della spesa per incarichi esterni e collaborazioni atteso che il comma 6° stabilisce che:per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di provata competenza in presenza dei seguenti presupposti: l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione e ad obiettivi e progetti specifici e determinati; l’ amministrazione deve aver preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare risorse disponibili al suo interno; la prestazione deve essere di natura temporanea ed altamente qualificata e devono essere predeterminati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione. Trattasi di principi già rinvenibili nella deliberazione dalla Corte dei Conti Sezioni Riunite in sede di Controllo del 15/02/2005 che, per la valutazione della legittimità di incarichi e consulenze esterne, indicava precisi criteri: rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione, inesistenza all’interno di una figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, indicazione della durata e proporzione tra compenso corrisposto e utilità conseguita dall’amministrazione. La Sezione rileva quindi che la circolare n. 5/2006, menzionata nella richiesta di parere, non contiene indicazioni circa la allocazione contabile delle spese per collaborazioni coordinate e continuative, ma è piuttosto diretta ad indurre le amministrazioni pubbliche a ponderare attentamente il conferimento di incarichi di collaborazione. Occorre anche sottolineare, ad avviso della Sezione, che la citata circolare è stata emanata per le amministrazioni pubbliche statali, salvo il richiamo per l’adeguamento dei regolamenti degli enti locali ai principi espressi al nuovo art. 7 del D. Lgs. 165/2001. La circolare n. 5 del 21/12/2006 è inoltre antecedente all’entrata in vigore della legge L. n. 296 del 27/12/2007, finanziaria per il 2007, che contiene un’apposita disciplina per gli enti locali che non hanno osservato il patto di stabilità interno nel 2006. Come noto, la nuova legge finanziaria ha soppresso per gli enti che non hanno raggiunto gli obiettivi del patto di stabilità interno per il 2006 le sanzioni del divieto di indebitamento e del contenimento della spesa per l’acquisto di beni e servizi ed ha invece mantenuto il divieto di nuove assunzioni manifestando un chiaro orientamento teso al contenimento della spesa del personale che coinvolge comunque anche gli enti rispettosi del patto. Il comma 561 L. n. 296/2007 espressamente prevede che gli enti che non abbiano rispettato per l’anno 2006 le regole del patto di stabilità interno non possono procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi tipo di contratto. La dizione del testo normativo, nel riferirsi “ad assunzioni a qualsiasi titolo” e con qualsiasi tipo di contratto, appare, ad avviso della Sezione, di ampia e generale portata e pertanto in grado di ricomprendere non solo i rapporti di lavoro strettamente subordinato ma anche quelli che si definiscono “parasubordinati” e per i quali la circolare n. 5/2006 ravvisa il carattere autonomo della prestazione. Trattasi comunque di contratti di lavoro atteso che la stessa L. n. 296/2007 dispone al comma 1180 che anche le pubbliche amministrazioni che instaurano rapporti di lavoro subordinato o autonomo in forma coordinata e continuativa sono tenute a darne comunicazione al Centro per l’Impiego territorialmente competente. La Sezione evidenzia, inoltre, che l’orientamento del legislatore è negli ultimi anni apparso decisamente contrario alla stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa per gli enti non rispettosi del patto di stabilità interno. Basta rammentare che il comma 33 lett. b) della L. n. 311 del 30/12/2004 (finanziaria per il 2005) prevedeva per gli enti non rispettosi del patto di stabilità il divieto di procedere ad assunzioni “a qualsiasi titolo”, mentre il comma 116 sanciva espressamente per tali enti il divieto di avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Si evidenzia, ancora, che il comma 204 della L. n. 266 del 23/12/2005, come modificato dal D. L. n. 223/2006, prevede a titolo di sanzione, per gli enti non rispettosi della riduzione dell’1% della spesa del personale rispetto all’anno 2004, il divieto di effettuare assunzioni a “qualsiasi titolo”. Il citato comma 204 è tuttavia da disapplicare ai sensi del comma 557 della L. n. 296/2006. Il testo del comma 561 della nuova Legge finanziaria per il 2007 sembra avere una portata ancora più estesa dei divieti espressi dalle finanziarie precedenti atteso che al divieto di assunzioni a qualsiasi titolo aggiunge il divieto di assunzioni con qualsiasi tipo di contratto. La Sezione ritiene pertanto che da un’interpretazione letterale e sistematica del comma 561 della L. n. 296/2006 derivi il divieto per l’ente locale non rispettoso del patto di stabilità interno nell’anno 2006 di avvalersi nell’esercizio 2007 di incarichi di collaborazione e coordinata e continuativa. (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la regione Puglia, parere n.1/2007)
La giurisdizione della Corte si estende anche ai profili di responsabilità facenti capo a enti pubblici economici
. "(...) 11.3. La sentenza Corte dei conti – Sez. giur. Regione Umbria n. 354/2006 (Pres. L. Principato – Est. F. Longavita) (sentenza SEDIT-Srl - Società di Elaborazione Dati Informatici). Da ultimo, una sentenza particolarmente significativa è stata resa anche dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria della Corte dei conti (...), la quale, nel respingere una eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa dei convenuti in relazione al fatto che mancasse, nella vicenda all’esame del Collegio, la giurisdizione della Corte dei conti, in quanto “la contestazione formulata dalla Procura Regionale, in ordine alla partecipazione di un Consorzio di enti locali alla SEDIT-Srl (Società di Elaborazione Dati Informatici) ed alla gestione dei rapporti con essa, (attiene) essenzialmente (..) a scelte imprenditoriali compiute da un ente pubblico economico”, la cui valutazione – a parere dei difensori – dovesse spettare al giudice ordinario, ha respinto l’eccezione in quanto ritenuta infondata, ed ha affermato che <<(..) la Corte regolatrice, invero, con la recente ordinanza n°19667/2003, ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti su tutte le iniziative risarcitorie della Procura erariale a favore degli enti pubblici economici, senza più distinguere le ipotesi di danno correlate ad atti espressivi di potestà pubbliche, per i quali tale giurisdizione era già da sempre pacificamente ammessa, da quelle correlate ad attività di impresa, per i quali era, invece, altrettanto pacificamente esclusa>>. <<(..) La Suprema Corte – hanno osservato i giudici della Sezione umbra della Corte - è giunta al riconoscimento pieno della giurisdizione della Corte dei conti su tutte le controversie relative alle pretese risarcitorie a favore degli enti pubblici economici, muovendo dalla constatazione –correlata alle varie, note riforme che hanno interessato la P.A.– che “l’Amministrazione (ormai) svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato>> (...) (Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Umbria, sentenza n.354/2006)
La sostituzione del Collegio di revisione con il Revisore unico negli Enti Locali
sotto i 15.000 abitanti. "CONSIDERATO che: il comma 732 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007) ha disposto la estensione anche ai comuni con popolazione sino a 14.999 abitanti della previsione, precedentemente rivolta solo ai comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, di cui all’art. 234, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000 (affidamento ad un solo soggetto, anziché ad un collegio di tre membri, della funzione di revisione economico-finanziaria; con la richiesta di parere di cui trattasi il Sindaco del comune di XXX ha chiesto se la predetta prevista riduzione del numero dei componenti dell’organo di revisione economico-finanziaria debba avere immediata applicazione anche agli organi di revisione collegiali nominati prima del 1° gennaio 2007 (data di entrata in vigore della legge n. 296/2006) oppure solo alla naturale scadenza dell’incarico triennale già in atto; si rappresenta, relativamente allo specifico quesito prospettato, quanto comunicato, con la citata nota n. 6535/C21 del 14 marzo 2007, dal Presidente del Coordinamento delle Sezioni regionali di controllo della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti: <(…) questo Coordinamento propende per l’opinione secondo cui i collegi dei revisori degli Enti locali (…) non decadano dalle funzioni con decorrenza dall’entrata in vigore della legge finanziaria, ma restino in carica fino alla naturale scadenza del mandato triennale. Tale interpretazione è stata, peraltro, confermata anche dalla recentissima circolare del Ministero dell’Interno dell’8 marzo 2007, n. 5, interpretativa delle disposizioni della legge finanziaria 2007 relative agli enti locali, nella quale, al punto n. 7.1, viene espressamente affermato che “per i comuni interessati alla modifica, la disposizione trova applicazione alla naturale scadenza dell’incarico attualmente affidato all’organo collegiale: in tale occasione il consiglio comunale provvederà al rinnovo dell’organo nominando un solo revisore." (Corte dei conti, sezione regionale di controllo Regione Basilicata, parere n.7/2007) (Abbiamo così ulteriore conferma di un'interpretazione che questo sito ha sostenuto sin dall'inizio. I possibili risvolti legali di un'immediata e immotivata revoca dei revisori avrebbe dovuto in ogni caso consigliare prudenza ad amministratori avventati. N.d.R.)

domenica 22 aprile 2007

Scampoli d'assenza

La verve con la quale Pietro Ichino propone temi di discussione sull'efficienza nella pubblica amministrazione è davvero encomiabile. Non si è mai visto tanto entusiasmo nel proporre argomenti che tendono a dimostrare l'immobilismo dei dipendenti pubblici e la loro refrattarietà a qualsiasi riforma che ne riduca i privilegi, ben tutelati da un sindacato tra i più potenti al mondo. E' una battaglia che, da appartenenti alla pubblica amministrazione, condividiamo integralmente. Anche perché c'è P.A. e P.A., e all'interno della stessa tipologia di enti si possono riscontrare differenze enormi che cambiano drasticamente la prospettiva di osservazione. Prendiamo ad esempio l'ultima polemica in ordine di tempo, quella sull'assenteismo. Senza voler fare di tutta l'erba un fascio, il Lenzuolo rosa ha proposto uno schema dettagliato sulle assenze (che comprendono anche le ferie godute) negli uffici pubblici messe a confronto con le percentuali riscontrate nel settore privato (20,1% del tempo di lavoro se ne va in malattie, congedi e permessi), distinguendo fra: enti pubblici non economici (27,4%), Agenzia fiscali (24,3%), Sanità (23,3%), Enti di ricerca (21,2%), Ministeri (20,8%), Regioni e autonomie locali (19,9%), Università (19,5%), Scuola (17,7%) e Presidenza del Consiglio (15,0%). Il dato relativo al nostro settore è, già a livello aggregato, significativo per smentire la fandonia del dipendente comunale fannullone professionista. Il Lenzuolo ci mette del suo, però, perché titola a sei colonne: "Vibo, in Comune malati per 25 giorni". Ora, è vero che il riferimento è puntuale e chiama con nome e cognome i responsabili, ma: 1. L'indagine prende in considerazione i soli capoluoghi di provincia, dove gli organici sono certamente molto più sostanziosi e le assenze più facili da assorbire. 2. Si lascia a un brevissimo inciso all'interno del pezzo di commento l'osservazione che "ci sono i tanti piccoli comuni dove l'assenza di un dipendente viene evitata in ogni modo perché blocca la macchina amministrativa." Senza mettere in dubbio la buona fede del titolista, non mi sembra un buon servizio alla completezza informativa far passare l'idea che i comuni siano le pecore nere dell'assenteismo, sperando di cavarsela con l'obiettività attraverso uno striminzito capoverso. E' una solfa che, in generale, non ci piace ascoltare, soprattutto perché siamo quotidianamente a contatto con un'utenza che, mediamente, non ha un'alta opinione di noi. Se abbia torto o ragione è argomento su cui si può discutere a lungo, ma senza assegnare a priori la patente del peggiore. Più che di assenze, infatti, si dovrebbe discutere di metodi di valutazione. Quest'ultimo è una specie di tabu, vuoi perché, a differenza del privato, le misure disciplinari sono comunque meno efficaci, vuoi perché non si è diffusa in modo capillare una classe dirigenziale (vedi, soprattutto, segretari) pronta a promuovere un adeguato sistema di incentivi e di sanzioni. Discutiamo allora della reale efficacia dei nuclei di valutazione e di come essi rappresentino negli enti più piccoli un doppione poco utile a innalzarne l'efficienza. E' un compito che potrebbe essere assegnato direttamente al revisore dei conti, unico organo esterno in grado di non lasciarsi influenzare da simpatie o avversioni.

sabato 21 aprile 2007

La casa della libertà

Pubblichiamo un intervento a cura di Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia, apparso lunedì scorso sulle colonne del Lenzuolo rosa. L'autore introduce, finalmente, nel dibattito sul decentramento fiscale, finora alimentato da voci poco interessate a trovare una soluzione efficace, un elemento serio di discussione: la natura del prelievo fiscale locale si deve concentrare su chi svolge un'attività lavorativa sul territorio oppure su chi lo abita? Clerici risponde così: "Una costante nell'impostazione fiscale dei Paesi centralizzati è il maggior livello del prelievo centrale rispetto a quello locale. Ma in Italia questo livello è talmente elevato da non trovar riscontro altrove. Il 95% dell'intero gettito fiscale è assorbito dallo Stato, mentre solo il 5 per cento (la metà di quanto si riscontra negli omologhi Paesi europei) è prelevato direttamente dagli enti locali a fronte di una spesa complessiva, da parte degli stessi, del 27 per cento del totale (superiore di oltre il 60% rispetto a quella media, registrata sempre negli altri Stati dell'Europa a struttura centralizzata). Una maggiore responsabilizzazione degli enti locali nella gestione delle risorse fiscali passa dunque attraverso un riequilibrio del rapporto tra prelievo centrale e prelievo locale, al quale dovrebbe alla fine essere affidato il compito di finanziare direttamente la spesa locale. Il federalismo fiscale significa questo: aumento della capacità impositiva locale, compensato da una parallela ed equipollente riduzione della pressione fiscale erariale. Ne conseguirebbero una maggiore responsabilità degli enti locali nella determinazione e nella gestione delle risorse fiscali, e una più ampia facoltà degli stessi di differenziare le politiche in relazione ai diversi bisogni locali. Certamente non è federalismo ciò che ha fatto finora lo Stato italiano, che ha trasferito competenze e funzioni agli enti locali, mantenendo saldo al governo centrale il prelievo fiscale; centellinando poi ai primi i mezzi finanziari necessari allo svolgimento dei propri compiti e costringendoli, in tal modo, ad aumentare la pressione fiscale locale. Se dunque il federalismo fiscale, al di là di una revisione complessiva del sistema istituzionale italiano, significa, in una accezione più immediata, una riduzione dei trasferimenti, (ma anche degli investimenti diretti e dei finanziamenti) statali agli enti locali e un parallelo ampliamento della autonomia impositiva di questi ultimi, e quindi in definitiva del prelievo fiscale comunale, questa "rivoluzione" non può pensarsi che a carico della generalità dei contribuenti, (cioè dei produttori di reddito) locali: che sono poi, in ultima analisi, i fruitori stessi dei servizi comunali. La precisazione non è senza significato. Perché oggi l'unica imposta in cui si configurano la capacità e la autonomia impositive comunali è l’Ici. E una dilatazione di questa imposta (come qualcuno sembra suggerire) avrebbe come conseguenza di far "pagare" il federalismo a una sola categoria economica: quella cioè dei proprietari immobiliari, in quanto peraltro possessori del bene, non già percettori del reddito (dato il carattere di patrimonialità dell'Ici). È auspicabile dunque che si cominci a ragionare in termini diversi: e si pensi di istituire una imposizione fiscale comunale che abbia come cespiti i redditi da lavoro (dipendente e autonomo), quelli da investimento mobiliare, nonché quelli derivanti dall'esercizio di impresa. Quanto alla prima forma di imposizione fiscale, se si lega l'obbligo tributario all'esercizio dell'attività lavorativa nel territorio del Comune impositore, si ottiene anche l'effetto di chiamare a concorrere nel finanziamento dei servizi comunali, non i Soli residenti, bensì i city users, residenti e pendolari i quali ultimi con l'attuale sistema versano le imposte nel Comune di origine, in cui non consumano servizi cinque o sei giorni la settimana. Naturalmente il federalismo fiscale deve essere realizzato a costo zero per il contribuente singolo: vale a dire, si deve conseguire, non solo la invarianza del gettito complessivo delle imposte erariali e comunali (come stabilisce il disegno di legge governativo AC 1762 del 4 ottobre 2006, all'articolo 4), ma anche l'indifferenza del contribuente; nel senso che l'onere fiscale a suo carico non deve aumentare: il che può benissimo attuarsi attraverso la detraibilità totale, dalle imposte erariali, delle istituende imposte comunali. Per equità, lo stesso discorso dovrebbe valere per l'Ici. È chiaro altresì che una semplice addizionale Irpef, pur resa detraibile, non potrebbe servire alla bisogna; in quanto il relativo gettito sarebbe di competenza del Comune di residenza e non, viceversa, di quello in cui si esercita l'attività lavorativa e si consumano prevalentemente i servizi comunali. Rimarrebbe aperto il problema del concorso, nel pagamento degli stessi, anche da parte dei pendolari." L'impostazione offerta da Clerici non può non risentire delle istanze delle quali si fa portatrice la sua associazione. Depurate dal filtro anti-ICI (sulla cui natura patrimoniale, peraltro, si può discutere a lungo, osservando le numerose variabili introdotte dai singoli comuni), le osservazioni sulla realizzazione di un prelievo fiscale mirato sono estremamente pertinenti e riportano la questione di fondo a una domanda semplice semplice: quali servizi offre oggi un ente locale e chi ne usufruisce per lo più? Posta così la domanda non può avere una risposta univoca. Troppe sono le differenze dimensionali tra un ente e l'altro. Si possono però individuare alcune tipologie di servizi valide per tutti gli enti. Partiamo da quelli di natura produttiva: acquedotto e riscaldamento, in particolare. Non dovrebbero rientrare nel quadro della fiscalità decentrata poiché già rispondono (con qualche distinguo) a criteri di economicità. Lo smaltimento dei rifiuti sta assumendo ormai la stessa natura. Quando la riforma attuata con il Codice dell'Ambiente sarà entrata a regime, inoltre, gli enti locali saranno sostituiti nella gestione da entità che assumeranno la veste di società commerciali. I servizi alla persona, invece, rappresentano una voce di spesa sempre più significativa nei bilanci comunali. Mi riferisco in particolare a quelli di cui beneficiano i più anziani o i più giovani, insomma le categorie più deboli. In entrambi i casi, si tratta di categorie non ancora o non più produttive, che dunque nel modello ipotizzato da Clerici non avrebbero posto. E' poi rilevantissimo il peso dei servizi relativi all'istruzione, alla cultura e al tempo libero. Difficile, anche qui, associare i fruitori a chi esercita un'attività lavorativa sul territorio. Restano i servizi istituzionali, forniti direttamente agli sportelli comunali. Qui il confine tra utilizzatori-lavoratori e utilizzatori-residenti è molto più sottile. Questi servizi sono quelli a bassa intensità di capitale, dove il costo principale, cioè, è rappresentato dagli stipendi dei dipendenti. Non potendo verificarne l'economicità, è difficile anche farne ricadere gli oneri su una categoria specifica. La discussione dovrebbe riprendere da qui: siamo davvero convinti che il carico fiscale locale debba essere spostato su chi lavora sul territorio, invece che su chi lo abita? Vorremmo occuparcene ancora al più presto.

venerdì 20 aprile 2007

Repetita iuvant...a volte

Il 30 aprile si avvicina rapidamente, dunque, il più è fatto. I pochi enti che ancora non hanno approvato il bilancio di previsione 2007 sono ormai solamente in attesa della seduta consiliare, mentre tutta la documentazione è già depositata agli atti. Vale però la pena di soffermarsi un'ultima volta sulla questione della conferma delle aliquote tributarie per il 2007 e dell'organo competente a deliberare. Sullo Struzzo giallo di oggi, infatti, è pubblicato un intervento a cura del Dirigente di settore del Comune di Castellammare di Stabia nel quale, sulla scia della recente nota ministeriale, si continua ad affermare la superfluità di una deliberazione (del consiglio comunale, in questo caso) qualora non si intendessero modificare le aliquote. Nello specifico, qui si parla dell'ICI, non dell'Addizionale IRPEF, ma le conclusioni sono identiche. E così il mio disaccordo. Nel breve pezzo, in verità, l'argomentazione già fornita dal Ministero è ulteriormente elaborata. La tesi della difesa sarebbe la seguente. La Finanziaria 2007 attribuisce al Consiglio comunale il potere di deliberare in merito all'ICI. Poiché, però, la stessa norma, qualche comma dopo, stabilisce che, in assenza di deliberazione, le aliquote sono confermate nell'importo dell'anno precedente, l'ente che nel 2007 non approva alcun atto dovrà applicare quelle deliberate dalla Giunta nel 2006. E questo, si dice, "atteso che il potere è stato attribuito al consiglio comunale solo a far data dal 1° gennaio 2007". Ma se l'unico impedimento è dato dalla decorrenza della nuova competenza, allora anche la conferma delle aliquote è entrata in vigore solo il 1° gennaio scorso. Delle due l'una: o entrambe le norme sono vigenti o non lo è nessuna delle due. Tra l'altro l'autore sostiene che l'eventuale deliberazione consiliare di conferma è "semplicemente inutile". A parte che la norma recita esattamente: "In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine (quello di approvazione del bilancio, n.d.r), le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno", e dunque, scritta in questo modo, ha un valore quasi sanzionatorio, di effetto residuale, non volitivo. Piuttosto, a me sembra che manchi un altro passaggio essenziale, che determina una situazione di incompetenza relativa: se tocca ora al Consiglio deliberare (art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 504/1992 modificato), chi ha preso la decisione di confermare le aliquote dell'anno prima? Il Consiglio no, perché non viene neppure chiamato in causa. La Giunta neppure, perché la volontà dell'organo esecutivo non è espressa in alcun atto. Se nessuno delibera niente (perché neppure la Giunta si è espressa, non avendone più titolo), per questo esercizio le aliquote devono essere riportate al minimo (art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 504/1992, tuttora in vigore). Spero proprio che qualcuno sollevi in sede giurisdizionale questo punto che, ripeto, vale solo per il 2007, ma non è assolutamente secondario. Dal prossimo esercizio, se la competenza non sarà nuovamente rettificata, in assenza di deliberazione, il comma 169 della Finanziaria esplicherà i suoi normali effetti, ma non oggi.

giovedì 19 aprile 2007

Il salario della paura

Le reiterate proroghe della scadenza per approvare il bilancio di previsione (al momento, il prossimo 30 aprile) alimentano dubbi e incertezze operative tutt'altro che lievi ai comuni sia in veste di enti impositori sia nella delicata funzione di sostituti d'imposta. A causa, infatti, delle ampie modifiche alla disciplina dell'addizionale comunale all'IRPEF, da quest'anno è necessario fare attenzione a più di un parametro nel calcolo e nella gestione dell'imposta. E' arrivato il momento di fare il punto della situazione, tanto più che nel corso del mese di marzo è necessariamente partita l'operazione di acconto 2007 delle addizionali e dunque non si può tergiversare ulteriormente per decidere cosa è opportuno e legittimo fare. Partiamo dunque dalla norma. L'art. 1, comma 4, D.Lgs. n. 360/1998 è stato ridisegnato dalla Finanziaria 2007 e, sinteticamente, stabilisce che: il versamento dell’addizionale comunale deve essere effettuato non più solo a saldo (in un numero massimo di 11 rate di eguale importo sino a novembre) ma anche in acconto su quanto dovuto per l'anno fiscale in corso. Nel 2007, dunque, la misura dell’acconto è stabilita nel 30 per cento dell’addizionale ottenuta applicando al reddito imponibile 2006 una delle seguenti aliquote: quella deliberata per il 2007, se la deliberazione è stata pubblicata entro il 15 febbraio; quella deliberata per l'anno precedente, se il termine del 15 febbraio non è stato rispettato. Nasce già qui un primo problema per i comuni che introducono solo quest'anno l'addizionale, poiché non esiste un'aliquota minima (come ad esempio accade per l'ICI) e quindi, se il bilancio è stato approvato dopo il 15 febbraio (nel pieno rispetto della norma di legge), essi non riceveranno alcuna somma in acconto, (il sostituto d'imposta non preleverà alcuna somma dalle competenze del dipendente). Quel termine era stato fissato prima della proroga dei bilanci, per consentire a sostituti ed erario di giungere al primo versamento di marzo con una situazione chiara. Ora l'ingiusta penalizzazione nei confronti dei comuni neo-addizionati (mi si passi il brutto neologismo, ma è per il bene della sintassi) avrebbe tanto bisogno di un chiarimento e, possibilmente, di una riparazione. Un secondo aspetto critico riguarda le modalità di applicazione dell'acconto qualora il comune abbia deciso di fissare una soglia di esenzione dall'addizionale. L'Agenzia delle entrate ha fornito a tale proposito nel breve volgere di qualche settimana due versioni differenti, utilizzando due strumenti dal valore altrettanto diverso. Con una circolare (la n. 15/2007) ha precisato che l'acconto "non è dovuto dai soggetti che rientrano nella soglia di esenzione deliberata dal comune ai sensi dell’articolo 1, comma 3-bis, del d.lgs. n. 390 del 1998." e che "L’acconto dell’addizionale comunale dovuta per il 2007 è determinato dai sostituti d’imposta utilizzando l’aliquota fissata dal comune in cui il dipendente ha il domicilio fiscale al 1° gennaio 2007. Il sostituto, anche in sede di acconto, tiene conto delle esenzioni deliberate dai comuni solo se il percipiente dichiara di essere nelle condizioni previste per fruirne." Con il comunicato dello scorso 16 aprile la stessa Agenzia alza il tiro e sostiene quanto segue: "I contribuenti che rientrano nella soglia di esenzione deliberata dal comune non devono pagare l'acconto dell'addizionale Irpef. L'Agenzia delle Entrate, in merito ai problemi registrati in alcuni Comuni, precisa che per i redditi di lavoro dipendente e i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i sostituti d'imposta determinano l'acconto dell'addizionale comunale dovuta per il 2007, utilizzando l'aliquota fissata dal Comune in cui il dipendente ha il domicilio fiscale al primo gennaio 2007, tenendo conto delle esenzioni deliberate dai Comuni. Qualora siano state trattenute rate di acconto nei confronti di contribuenti che hanno diritto all'esenzione, il sostituto d'imposta provvede alla restituzione nelle mensilità successive o in sede di conguaglio.", facendo ricadere in sostanza sul sostituto l'onere di verificare l'esistenza delle condizioni per l'applicazione dell'esenzione. Quest'ultima ipotesi, però, aggiunge confusione alla già torbida quaestio. Se la dichiarazione del dipendente aveva il pregio di levare da qualsiasi responsabilità il sostituto, la verifica a cura di quest'ultimo rischia di non centrare l'obiettivo perché senza la collaborazione del dipendente il datore di lavoro dovrà limitarsi a fare un confronto tra reddito di lavoro dipendente e soglia di esenzione, sfuggendogli la parte di reddito che non viene da lui erogata. Un comunicato stampa può estendere l'interpretazione offerta con una circolare? Tema interessante e, purtroppo, dai risvolti molto pratici. C'è da sperare che la prossima versione (quella definitiva, naturalmente) non esca nel corso di un'intervista al Direttore dell'Agenzia.